AYURVEDA

Purusha è il Tutto e il Nulla, che racchiude in sé tutte le potenzialità, nessuna delle quali è manifesta fino a quando non sorge il desiderio di rivelarsi. Purusha è prima del Tempo e dello Spazio. Il desiderio di rivelarsi si fa esplosione (big bang) e il Cosmo creato prende forma e diviene visibile. Prima del big bang c’è soltanto Purusha; quando il desiderio produce la creazione c’è Prakriti. Prakriti è la matrice dell’Universo, di tutto ciò che è visibile, percepibile. Prakriti differisce da Purusha soltanto nella convinzione della propria diversità, il che significa che Prakriti ha in sé la coscienza cosmica della propria diversità: la coscienza del suo esistere in Purusha, ma distinta da Purusha, e questa consapevolezza si chiama Mahat, intelligenza. Il movimento della separazione di Purusha in Purusha-Prakriti avviene attraverso un movimento, una vibrazione, dalla quale evolvono i cinque elementi, dal più sottile al più grossolano, e dalla cui combinazione si rende visibile l’Universo nelle sue varie forme, compreso l’Uomo.

I cinque elementi panchamahabuta sono dal più sottile al più grossolano:

 

Akash – ETERE

Vaju – ARIA

Tejas – FUOCO

Jala – ACQUA

Pritvi – TERRA

 

I rishi -antichi saggi vedici- definirono la proprietà dei cinque elementi:

Akash – Etere: il punto di partenza dal momento di separazione Purusha-Prakriti genera un campo magnetico, a partire dal quale avviene la manifestazione, dalla quale ogni realtà visibile proviene e ritorna.

Akash è lo spazio illimitato che non possiede una realtà fisica, esiste come elemento sottile, che è presente in tutte le manifestazioni percepibili, e negli intervalli che separano le più piccole componenti della materia.

Vaju – Aria: è la prima aggregazione in forma gassosa di Akash, che è esistenza priva di forma. Vaju è dunque la prima forma.

Tejas – Fuoco: è il calore che trasforma il gassoso in liquido, il liquido in gassoso, il solido in liquido e gassoso, in un continuo passaggio; principio dunque della trasformazione.

Jala – Acqua: è la materia nella sua forma instabile, definita e indefinita insieme.

Pritvi – Terra: è la materia pervenuta allo stato solido i cui attributi sono la stabilità, la fissità, la rigidità.

 

ETERE ARIA FUOCO ACQUA TERRA

Ognuno di questi elementi possiede una sua caratteristica cosmica e contestualmente ha una sede in una parte del corpo umano:

 

ETERE suono, orecchio, akash

ARIA pressione-tatto, pelle, vaju

FUOCO luce e calore, occhi, tejas

ACQUA sapore-gusto, lingua, jala

TERRA odore, naso, prithvi

 

Ognuno di questi elementi si caratterizza con una serie di attributi:

 

ETERE leggerezza, cedevolezza, duttilità

ARIA pressione, freddezza, ruvidità, aridità

FUOCO luminosità, chiarezza, acidità

ACQUA fluidità, morbidezza, viscosità

TERRA solidità, pesantezza, lentezza

 

DOSHA

La più elementare delle aggregazioni di questi cinque elementi dà origine ai Dosha, che significa impurità, impurità rispetto al grado di purezza dell’Assoluto. Akash e Vaju combinandosi danno origine a Vata. Vata, che deriva da va, movimento, significa ciò che muove. Tejas e Jala combinandosi danno origine a Pitta. Pitta deriva da ta, calore, ovvero ciò che cuoce, che trasforma. Jala e Pritvi combinandosi danno origine a Kapha. Kapha è composto da ka, acqua, e pha, abbondante, quindi prosperità. Vata essendo composta da Akash, che è dovunque, è di conseguenza presente negli altri due Dosha, ovvero se li porta sulle spalle. Pertanto riferendoci alla costituzione umana, è presente in ogni individuo in modo sempre significativo. Tutti gli avvenimenti naturali osservabili all’interno dell’Universo sono causati da uno di questi tre Dosha:

 

la creazione si svolge sotto il controllo di Pitta

il mantenimento sotto il controllo di Kapha

la distruzione sotto il controllo di Vata

 

Vata, seguendo il linguaggio della medicina scientifica, è il fattore dell’energia cinetica, quindi interessa soprattutto il sistema nervoso e di conseguenza presiede a tutti i movimenti del corpo. Kapha è energia che controlla stabilità e lubrificazione, quindi ha eminentemente sotto controllo la struttura del corpo umano, lo scheletro principalmente. Pitta è il fuoco metabolico regolatore delle due energie, quella cinetica e quella potenziale e si occupa di tutti i processi che comportano una digestione o una cottura (non solo materiale, Pitta presiede infatti anche alla cottura dei pensieri che devono diventare azione). Il suo campo d’azione è dunque quello enzimatico e quello endocrino.

 

VATA

Vata è il risultato della combinazione di etere e di aria, e quindi avrà gli attributi di entrambi gli elementi, ovvero avrà la leggerezza la duttilità e la cedevolezza di Etere la pressione, la freddezza, la ruvidità e l’aridità di Aria. Per cui Vata è impercettibile, luminoso, mutevole, secco, freddo, ruvido, e per la sua componente etere permea tutto. Presiedendo il movimento ed essendo responsabile dell’energia cinetica e dunque del sistema nervoso, governa il movimento del corpo e della mente, è responsabile del respiro nelle due fasi di inspirazione e di espirazione, dell’escrezione, del sistema informativo del cervello, per cui dirige i processi cognitivi del linguaggio, della sensibilità, del tatto, dell’udito, dell’olfatto, regola le funzioni psicosomatiche del corpo e quindi governa il legame fra sentimenti (ansia, paura, afflizione, coraggio, ecc) e le reazioni che essi producono sul corpo o sui singoli organi del corpo; regola infine gli stimoli naturali, la circolazione del sangue, il vigore sessuale e presiede inoltre alla formazione del feto.

 

PITTA

Pitta deriva dal fuoco e dall’acqua e presenta le caratteristiche di entrambi, ovvero la chiarezza, il calore, l’acidità del fuoco e la fluidità, la morbidezza e la viscosità dell’acqua. Per questo Pitta è caldo, piccante, acido, pepato con odore forte. Ѐ importante tenere conto, prima di parlare delle caratteristiche di Pitta, che Fuoco e Acqua sono elementi contrapposti, uno teme l’altro, uno vuole vivere senza l’altro, per cui lo sforzo di Pitta di tenere insieme questi due elementi rappresenta bene il lavoro che Pitta compie nel corpo, dove il fuoco non può mai diventare troppo alto, pena la perdita di acqua, e non può diventare troppo basso permettendo all’acqua di eccedere. Tutti i fuochi corporei sono in acqua: i succhi gastrici sono in forma liquida, quindi sciolti in acqua, e se sono eccessivi asciugano l’acqua che li veicola e bruciano le pareti dello stomaco producendo ulcera. Pitta dunque in questo costante sforzo di mediazione è prima di tutto responsabile della temperatura corporea, quindi delle sensazioni che ne conseguono, caldo e freddo, è responsabile della digestione, quindi della fame e della sete, e tiene a bada un corpo che per 3/4 è formato da acqua, quindi presiede i confini di questo stesso corpo e dunque controlla il sistema tegumentario dall’interno, mentre Vata controlla la parte esterna. Il fuoco di Pitta presiede all’acutezza della vista e dell’intelligenza (vedere fuori, vedere dentro), stimola la gioia di vivere e l’allegria, e accende il più importante dei fuochi quello del desiderio, dalla curiosità all’eros. Pitta sta dunque negli occhi, negli organi che presiedono al metabolismo: stomaco, fegato, cistifellea, pancreas-milza, ghiandole endocrine, nella pelle.

 

KAPHA

Kapha deriva da acqua e da terra, e ha dunque le caratteristiche di entrambi questi elementi, è fluido, morbido, viscoso, solido, pesante, opaco e lento. Anche in questo caso, derivando da due elementi fra loro poco compatibili, è costante lo sforzo di mediazione; alcuni elementi liquidi e solidi sono in grado di mescolarsi, come avviene per lo zucchero o il sale da cucina che si sciolgono in acqua, altri non si mescolano mai, l’argilla si mescola in acqua finché qualcuno mescola, quando cessa l’operazione dinamica, lentamente l’argilla più pesante precipita sul fondo e dopo un po’ di tempo, acqua e argilla sono parzialmente separati. Kapha dunque ha la responsabilità di mantenere questi due elementi in equilibrio, un eccesso di solido priva di acqua il corpo, come nel caso della formazione di calcoli biliari o renali o salivari. Al contrario quando l’acqua prevale, si formano edemi, catarri, ritenzioni idriche. Kapha solido e liquido presiede all’intera struttura solida del corpo, all’untuosità, alla fermezza e alla pesantezza, al vigore sessuale, alla forza, alla perseveranza, psicologicamente aiuta il controllo, il ritegno e presiede all’assenza di avidità. Come si può facilmente comprendere, ogni Dosha interferisce con gli altri due. Non è infatti difficile immaginare che se si alza il vento, il fuoco può rapidamente uscire dalle sue sedi naturali, diventare incendio e asciugare tutta l’acqua; così come una grande inondazione copre la terra e spegne i fuochi. Dobbiamo sempre avere ben presente questo fenomeno di interferenza, che avviene anche a livelli minimali, infatti un eccesso di cibo nello stomaco, ovvero un eccesso di materia (Kapha), può spegnere il fuoco e la digestione si fa lenta e difficile, la lentezza. Vata disturbato, può produrre un rallentamento delle normali attività fisiche del corpo a cui presiede, per esempio stipsi, la quale per l’eccesso di materia di scarto, altera a sua volta Kapha. D’altra parte Vata può fluire se non ci sono ostacoli, e di conseguenza se c’è un eccesso di Kapha che ostruisce i passaggi, Vata o si blocca o torna indietro: un esempio è dato dall’eccesso di Kapha nello stomaco, vuoi per terra vuoi per acqua, e Vata può a quel punto rivoltarsi e provocare il vomito. Dobbiamo poi ancora tenere presente che essendo Vata presente negli altri due Dosha, naturalmente, se si altera, provoca anche un’alterazione degli altri due Dosha, più o meno significativa.

 

Ogni Dosha ha comunque delle caratteristiche ben precise:

 

VATA è freddo, secco, leggero, mutevole, irregolare, mobile,

rarefatto, arido, pungente, ruvido, rinfrescante, abrasivo

PITTA è caldo, untuoso, leggero, maleodorante, fluido, piccante

KAPHA è pesante, freddo, oleoso, denso, liscio, denso, compatto.

 

La mutevolezza e l’irregolarità di Vata producono irregolarità nel corpo, asimmetria; la stabilità di Kapha produce corpi di bell’aspetto, simmetrici; il fuoco di Pitta produce corpi nervosi, scattanti. Soffermiamoci ancora un momento sulle caratteristiche dei Dosha, perché questo ci aiuterà in seguito a comprendere meglio la costituzione del corpo (Prakriti) e il loro funzionamento nel corpo stesso, sia a livello mentale sia a livello fisico. Vata è secco, asciuga e in eccesso inaridisce, prosciuga il corpo e la mente: una pelle eccessivamente secca, capelli secchi e/o elettrici, mucose interne secche, prive di lubrificazione, sono tutti segnali di Vata in eccesso. L’umore molto mutevole, l’aridità di sentimenti, l’ansia, sono segnali di Vata alterato nella mente. Vata e Kapha sono freddi, Pitta è caldo, quindi un’alta temperatura del corpo, un eccesso di calore sulla pelle, le sensazioni di bruciore sulla pelle o alle mucose interne, gli occhi brucianti e arrossati, sono tutti segnali di Pitta in eccesso; le curiosità esasperate, la bramosia di potere, la sfrenata libidine, sono tutti segnali di Pitta alterato nella mente. Il calore è un effetto della trasformazione, l’eccesso di calore, vuoi nel corpo vuoi nella mente, produce irritabilità, nervosismo. Vata e Pitta sono leggeri, mentre Kapha è pesante, quindi tutto ciò che ha la caratteristica di pesantezza è riconducibile a Kapha; l’obesità derivante da una disfunzione di Vata o di Pitta, è comunque il segno che Kapha ha trovato spazio per insediarsi; la pigrizia fisica e psichica sono l’espressione di un eccesso di Kapha; se Kapha si esaspera produce indolenza nelle mente e accumulo di materiali di scarto nel corpo, catarro, muco, liquidi in eccesso. Sulla base di queste indicazioni non è difficile cogliere quali siano gli organi interni o le parti del corpo governati da un singolo Dosha. Vata governa il sistema nervoso, il cervello, il midollo osseo, il cuore, il colon, la vescica, il diaframma e i polmoni, la componente aerea nelle ossa. Pitta governa gli occhi, la pelle, il fegato, la milza, l’intestino tenue, il sangue, le ghiandole endocrine. Kapha governa la bocca, il sistema linfatico, le articolazioni, lo stomaco, i reni, la cavità pleurica e la cavità pericardiaca. Vata e Kapha, pur avendo similitudini (sono entrambi freddi per esempio) sono in realtà contrapposti, infatti Kapha è energia potenziale e quindi tende ad accumulare, Vata è energia cinetica, quindi tende a disperdere. Kapha tende a stabilizzare, quindi consolida, provoca stabilità, Vata muove; Vata pertanto tende a disperdere ciò che Kapha tende a stabilizzare. Questa costante contrapposizione è mediata da Pitta. Nelle diverse parti del corpo o nei diversi organi, i Dosha lavorano a stretto contatto, per esempio cuore, polmoni, diaframma sono la perfetta espressione del perenne movimento di Vata, ma il continuo movimento richiede tessuti forti, stabili e ben lubrificati, quindi l’intervento di Kapha. L’eccesso di movimento può provocare il consumo del lubrificante e la secchezza del tessuto che si strappa, ma l’eccesso di lubrificante può ingorgare il movimento. L’infarto può essere prodotto per lacerazione del tessuto, eccesso di movimento, o per eccesso di lubrificante che ostruisce le arterie. Ѐ chiaro dunque che le tre energie Vata Pitta e Kapha sono costantemente in evoluzione e trasformazione, in quanto interagiscono costantemente fra di loro. Fondamentale è il ruolo che riveste Vata, che presiedendo al sistema nervoso, che è il grande ponte fra mente-pensiero e corpo-azione, riveste un ruolo fondamentale nello svolgersi della vita, la quale tuttavia senza gli altri due Dosha non potrebbe comunque svolgersi, senza infatti il desiderio di Pitta, e senza il liquido cerebrorachidiano nel quale si muove il sistema nervoso centrale, Vata non avrebbe cosa far muovere e come farlo muovere. Dai Panchamabhuta ai Dosha è analisi dei Veda; come si comportano i Dosha in natura e soprattutto nel corpo umano è invece analisi dell’Ayurveda.

Ayurveda - Conoscenza della vita

Ayurveda (conoscenza della vita: il percorso che si situa fra la nascita e la morte) non è propriamente una scienza medica, infatti non si occupa soltanto della malattia, delle forme di malattia e delle cure relative, ma si occupa dell’esistenza umana in generale in funzione di una migliore qualità della vita e per promuovere la longevità. Nel Charaka Samhita, il più antico testo scritto in materia risalente circa all’inizio del VI secolo a.C., l’Ayurveda viene così definita: “ciò che tratta del bene e del male, degli aspetti della vita felice e infelice, di ciò che promuove o non promuove la vita“. È evidente da questa definizione che l’Ayurveda intende trattare di una unità imprescindibile che è costituita da corpo, mente e spirito, delle relazioni fra vita psichica e vita fisica, e che intende la vita come la risultante di una serie complessa di interrelazioni fra questi tre aspetti della medesima unità. Corpo e mente formano la parte fisica di un essere, che non può esistere tuttavia senza l’anima. Anima è una forma di energia, una parte dell’anima universale, e costituisce l’Io reale di un individuo, ed è la causa della coscienza. Il corpo del vivente non è dunque considerato un’entità indipendente: le attività biologiche, mentali, spirituali, cosmiche, sono interdipendenti e intercorrelate. Per questo motivo la cura di un disturbo o di un malfunzionamento di un organo o di una parte del corpo deve essere stabilita tenendo conto non solo dello stato generale del corpo dell’individuo stesso, ma anche della sua sfera emotiva, nonché del contesto sociale, culturale e spirituale nel quale l’individuo vive. Secondo l’Ayurveda la cura di un disturbo consiste nel ritrovare l’armonia con se stessi e con il proprio ambiente. Nella concezione olistica dell’Ayurveda, tutti gli organi del corpo sono parte di un insieme, quindi quando si verifica uno scompenso in uno, in realtà si scompensa tutto l’organismo, e l’Ayurveda ricerca le cause non tanto del cattivo funzionamento di quell’organo, ma piuttosto le cause del disequilibrio energetico che si manifesta, in quel momento, attraverso il cattivo funzionamento di quell’organo. L’Ayurveda non è una terapia, non è una forma di medicina, non è una indagine sul funzionamento del corpo e sui suoi meccanismi. È una via di vita: dice cosa bisogna fare per amare i singoli organi e tutto il corpo insieme. L’Ayurveda è un modo di istruire noi stessi, chi ci circonda, la società intorno a noi, sul modo di non ammalarsi e di riconoscere il messaggio della malattia se si è già ammalati e di avviare la via della guarigione. Secondo l’Ayurveda non è possibile attuare una terapia senza avviare uno stile di vita olistico. Per vivere secondo questo stile di vita bisogna imparare a vivere con il ritmo cosmico. L’Ayurveda dà una grande importanza allo sforzo personale nel raggiungere la buona salute, nel rendere la vita piacevole, e nell’attivare tutti i modi utili ad allungare l’arco della vita.

 

Longevità e qualità della vita dipendono da due fattori:
a) daiva, che sono le azioni (o karma) da noi eseguite nelle vite precedenti
b) purushakara, che sono le azioni compiute in questa vita.

 

Ogni creatura vivente dell’universo ha una sua propria identità, che la distingue da tutte le altre creature, soltanto nell’organizzazione fisica (corpo e mente) determinata dal vario mescolarsi degli elementi di base presenti nel cosmo: etere, aria, fuoco, acqua, terra. Gli elementi materiali di base sono la sostanza eterna e da essi si origina il mondo fisico; i cinque elementi si mescolano in modo specifico per dar luogo alle diversità esistenti nel mondo fisico. Ogni essere vivente rappresenta il cosmo nella sua microforma. Ogni essere umano porta dunque in sé gli elementi di base del cosmo, che combinandosi insieme danno origine alla vita nella sua forma fisica e alla sua incessante trasformazione. Ogni individuo possiede però una sua identità che è data da jiva, l’io indistruttibile, e per questo ogni individuo ha una sua propria identità che lo distingue da tutti gli altri individui. La condizione del karma delineata nelle vite precedenti determina la tipologia della forma della rinascita, nonché l’occasione contingente in cui essa avviene.

La diffusione dell’Ayurveda

Soltanto con lo sviluppo del buddismo, a partire quindi dalla vita di Siddharta Gautama (563-483), che si può cominciare a sistematizzare la storia dell’India, e quindi anche dell’Ayurveda. Sappiamo soltanto che la prima civiltà che occupa la valle dell’Indo, Harappa, apparsa probabilmente intorno al IV millennio a.C., venne soppiantata a metà del II millennio a.C. dagli ariani, che portavano con sé i loro liberi sacri, i Veda. Uno di questi, l’Atharva Veda, conteneva quello che sarebbe poi diventato l’Ayurveda. Lo studio di questa disciplina si consolida a cavallo fra II e I millennio e dà origine a quella che potremmo chiamare la prima università ayurvedica, costituita nel territorio dell’attuale Pakistan, vicino a Rawalpindi. Qui vive e studia il medico Javaka che divenne così celebre al suo tempo da divenire medico personale del re Bimhasara, il quale, a sua volta lo incaricò di diventare medico personale del Gautama, il Buddha. A quel tempo, i principi fondamentali dell’Ayurveda erano già stati stabiliti: prevenire la malattia endogena e esogena, promuovere la fertilità e il mantenimento della salute fino alla più tarda età. La conversione del re Ashoka al Buddismo, avvenuta nel III secolo a.C. diede un forte impulso alla conoscenza e allo studio della medicina, il re infatti aveva capito quale fosse la funzione sociale della salute e fece di tutto per promuoverla costruendo ospedali e incaricando i medici di recarsi nelle parti dell’India per avere una più ampia conoscenza della medicina, ed è attraverso questo canale che l’Ayurveda approda nell’isola di Sri Lanka, dove poi nel prosieguo del tempo, assumerà una configurazione particolare, adattandosi infatti alle esigenze ambientali dell’isola, e rimanendo fortemente legata alla tradizione buddista. In India al contrario la tradizione buddista ebbe un arresto intorno alla fine del I millennio d.C. Fino a quella data, l’Ayurveda conobbe un lungo periodo di prosperità e di sviluppo, e furono scritti i testi di base, che attraverso medici cinesi che giungevano a studiarla, furono introdotti anche in Cina. L’invasione musulmana cominciata intorno alla metà del X secolo d.C. pose termine a questa fase, e per fuggire all’intolleranza dei musulmani, molti medici si trasferirono in Nepal e in Tibet, dove sfruttando le conoscenze mediche di quelle civiltà diedero vita ad una medicina che faceva riferimento alle due culture, l’Ayurveda tibetana. Poco dopo però l’Ayurveda tornò a riaffermarsi e anzi fece proprie alcune acquisizione della medicina araba e di quella greca, che a sua volta era stata acquisita da quella araba, tanto che nel XVI secolo l’ Imperatore Akbar, dei Mogul, ordinò la compilazione di un testo che contenesse tutta la conoscenza indiana della medicina. L’invasione dei portoghesi prima e degli altri europei dopo portò una con sé un giudizio molto negativo nei confronti di una medicina appartenente ad una cultura considerata inferiore a quella occidentale. La denigrazione e la diffamazione dell’Ayurveda, giunsero al culmine nel 1835, quando gli inglesi ne impedirono la pratica in tutti i territori controllati dalla Compagnia delle Indie. Rimase fuori praticamente soltanto il territorio del Kerala, dove l’Ayurveda continuò ad essere praticata a livello popolare. Alla fine del secolo tuttavia i tedeschi manifestarono un interesse, meramente culturale per tutto il complesso della tradizione culturale indiana, e fecero tradurre il testo di Susruta, la descrizione delle tecniche di chirurgia del naso e dell’orecchio, che fu alla base delle moderne tecniche di rinoplastica, delle tecniche di intervento sulla pelle, di operazione agli occhi per rimuovere la cataratta, e per la rimozione di calcoli vescicali. Da quel omento un lento progressivo interesse dell’Occidente per l’Ayurveda cominciò a manifestarsi, fino a quando tuttavia la riscoperta dell’Ayurveda divenne punto di forza per chi sosteneva le rivendicazioni nazionaliste dell’India. Da questo percorso di questi ultimi cento anni si sono evidenziate in modo significativo due correnti dell’Ayurveda, quella che vuole mantenere una sua sostanziale ortodossia, e quella che invece propugna un'integrazione con la medicina allopatica, come l’Ayurveda di Sry Lanka. Buona parte delle accademie indiane, pur mantenendo integra la conoscenza dell’Ayurveda antica, studiano il corpo umano secondo la concezione allopatica, e si tende a privilegiare un approccio diagnostico e terapeutico di tipo organicistico.

Panchamahabuta - I cinque elementi materiali di base

ETERE   ARIA   FUOCO   ACQUA   TERRA   

 

Ognuno di questi elementi possiede una sua caratteristica cosmica e contestualmente ha una sede in una parte del corpo umano:

 

ETERE suono, orecchio, akash

ARIA pressione-tatto, pelle, vaju

FUOCO luce e calore, occhi, tejas

ACQUA sapore-gusto, lingua, jala

TERRA odore, naso, pritvi.

 

Ognuno di questi elementi si caratterizza con una serie di attributi:

ETERE leggerezza, cedevolezza, duttilità

ARIA pressione, freddezza, ruvidità, aridità

FUOCO chiarezza, acidità

ACQUA fluidità, morbidezza, viscosità

TERRA solidità, pesantezza, lentezza.

 

Le tre energie che dipendono dai cinque elementi di base dell’Universo sono:

Vata che si origina dall'etere e dall’aria

Pitta che si origina dal fuoco e dall’acqua

Kapha che si origina dall' acqua e dalla terra.

 

Tutti gli avvenimenti naturali osservabili all’interno dell’universo sono causati da una di queste energie:

la creazione si svolge sotto il controllo di Pitta

il mantenimento sotto il controllo di Kapha

la distruzione sotto il controllo di Vata.

 

Ogni individuo risulta dalla differente composizione di queste energie, che combinandosi

insieme danno vita ad un individuo unico e irripetibile. Per questo motivo non si può curare se stessi (o gli altri) senza avere una profonda conoscenza della costituzione di base, che si origina dalla differente composizione energetica.

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